Marco Valerio

Marco Valerio

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Marco Valerio Euro

 

Marco è un cittadino romano. Nato a Treviri nel 1208 AUC (ab Urbe condita), anno del consolato di Valentiniano e Antemio (455 d.C.), è figlio di un fabbro di città di nome Elio Valerio e di una popolana, ed ha un fratello maggiore, Paolo, e una sorella più giovane, Flavia.

 

Cresce come un normale figlio di una famiglia della plebe urbana dell’Impero, in una casa che non dispone più del riscaldamento e dell’acqua corrente, ma è ancora costruita secondo i canoni architettonici romani e pertanto è comoda, relativamente pulita e calda. Va a scuola dove impara a leggere, scrivere e far di conto, e studia anche i rudimenti della storia, della filosofia e della letteratura del suo tempo... La sua è probabilmente l’ultima generazione a ricevere un’istruzione pubblica: per i successivi mille e quattrocento anni un tale lusso sarà impensabile...

In quanto figlio di un artigiano, Marco comincia anche ad imparare la professione del padre, e si appassiona di forgiatura e di attrezzi in ferro quali gli utensili da lavoro e le armi da guerra.

 

La madre è morta da poco quando lo zio Flavio Rubio, veterano dell’esercito di Ezio che aveva sconfitto Attila, si presenta a Treviri in cerca di volontari per combattere i barbari; Elio, che a suo tempo non era partito con il fratello per combattere Attila, non vuole che i suoi figli lo seguano, ma marco disobbedisce al paterfamilias e va con lo zio anche se non ha ancora quindici anni.

Anche se Treviri ormai fa parte da anni di quella parte della Gallia assegnata ai foederati franchi e da questi ormai considerata a tutti gli effetti come il loro regno, sono ancora in vigore le leggi emanate a duo tempo dall’Augusto Teodosio, che stabiliscono come i figli maschi debbano esercitare la stessa professione del padre, in modo da non perdere la professionalità di artigiani e agricoltori in un periodo in cui l’educazione è in pieno degrado a causa della crisi economica. Pertanto la partenza del giovane Marco è vista non solo come un affronto all’autorità patriarcale, ma anche in generale come una cosa contraria alle convenzioni sociali del tempo.

 

Al fianco dello zio, Marco vive la sua prima, traumatica esperienza bellica sui campi di battaglia di Biturice e di Andegavi nell’esercito del conte Paolo: la sua infanzia cessa a quel punto, e la guerra diventa parte del suo mondo; arrestati ma non respinti i barbari, Marco e suo zio si trovano prima coinvolti nell’assedio di Clarus Mons degli Alverni da parte dei visigoti e poi, raggiunta l’Italia, nel disperato assedio di Roma da parte di Ricimero.

Dopo il rogo del Palatino, la morte dell’Augusto d’Occidente e l’arrivo dell’esercito orientale di Giulio Nepote, Marco si separa da suo zio: a quel punto l’amarezza per la dissoluzione del suo mondo e la disillusione portata dalla guerra lo convincono ad unirsi all’esercito regolare come mercenario. Si arruola nei Sagittarii juniores Orientales, reparto di cavalleria di élite dell’esercito imperiale, dove impara a combattere a cavallo e a tirare con l’arco.

 

All’inizio Marco è solo una recluta in un reparto di veterani, ma le perdite in combattimento, le defezioni e il continuo ricambio del personale che è ormai motivato più dalla paga che non dal senso del dovere, lo portano ben presto ad essere ben inserito nel suo contubernum, il gruppo di soldati che dividono la stessa tenda e combattono insieme.

L’esercito orientale è richiamato dapprima in Illiria e poi in Macedonia per combattere gli ostrogoti, e Marco oltre ad imparare il greco che è la lingua principale dell’esercito orientale, affina rapidamente le sue capacità di combattente; disilluso, amareggiato e reso cinico per via dell’influenza dei compagni mercenari, si trasforma rapidamente in un tipico soldato del suo tempo: coraggioso, abile e sostanzialmente privo di ideali.

Nel corso della battaglia nei pressi di Tessalonica, Marco si trova casualmente a combattere in mischia nei pressi dell’Augusto Zenone, e accidentalmente gli salva la vita perdendo però l’occhio destro.

 

In seguito a tale evento, l’attitudine cameratesca e la gratitudine dell’Augusto fanno sì che Marco si ritrovi ad essere promosso centurione giovane ed assegnato alla guardia personale dell’imperatore, costituita dalla coorte degli excubitores.

Marco non ama il servizio al Gran palazzo che deriva dal nuovo grado e dall’incarico: era più felice presso i Sagittarii, però apprezza il vistoso aumento della paga e le comodità offerte dalla vita all’interno del Sacro recinto. La vicinanza con la multiforme fauna del gran Palazzo lo infastidisce, ma gli spiega anche molte cose sulle ragioni della crisi di Roma, ma soprattutto la decadenza dei costumi imperiali resuscita in lui il ricordo e la nostalgia per l’Occidente che si è lasciato alle spalle ormai da troppo tempo.

 

La congiura di Palazzo ordita dall’imperatrice vedova Elia verina e da suo fratello Basilisco porta Marco a soccorrere per la seconda volta il suo Augusto, per il quale non ha alcuna stima, e soprattutto sua moglie Elia Arianna.

Durante la guerra civile Marco si trova ad avvicinarsi alla sua Augusta assai più di quanto non sarebbe conveniente, e fra i due si sviluppa un complicato rapporto fatto più di stima reciproca che non di affetto, e che avrà una profonda influenza sulla vita dell’ancora giovane centurione occidentale.

Poco alla volta, Marco sente rinascere dentro di sé, insieme alla nostalgia di casa, anche il senso del dovere nei confronti di una patria che in realtà non esiste più, ma che tuttora esercita un fascino profondo tanto sui barbari quanto sui cittadini dell’impero: quella Roma che per tanti secoli ha garantito la crescita della civiltà e la difesa del diritto in tutto il mondo conosciuto.

Per quanto amareggiato dalle esperienze e disilluso nei confronti delle persone, anche grazie all’educazione ricevuta Marco ha comunque una sua tensione etica che lo porta a saper riconoscere il bene dal male e a cercare di fare ciò che ritiene giusto piuttosto che ciò che gli conviene. Pur vivendo in un’epoca di intensa religiosità, non è molto fervente nel suo credo Niceno, e subisce ancora il fascino tipico dei soldati dell’epoca per l’antico culto di Mithra. Uno dei suoi limiti caratteriali è rappresentato dalla forte attrazione che prova per le donne, di cui subisce il fascino e dalle quali è spesso ricambiato; questa debolezza lo metterà spesso nei guai, ma questo è un problema tipico dei soldati, non è vero?

 

Il suo complesso rapporto con Elia Arianna lo porterà dapprima ad affrontare missioni sempre più pericolose per sostenere l’Augusta Famiglia nel suo tentativo di governare ciò che rimane dell’Impero attraverso le vicissitudini della fine del V Secolo, e poi finalmente a tornare in Occidente per cercare di fare quanto possibile per restituirlo alla civiltà e quindi all’Impero.

Il risultato dei suoi sforzi sarà molto differente da quanto si era prefisso, ma porterà a gettare i semi di quella che oggi noi chiamiamo Europa. 

 

 

 

 

 

Abitualmente Marco indossa un elmo crestato di foggia classica, alla romana, una spessa cotta di cuoio lucido coperta da una corazza squamata ed una tunica bianca con brache dello stesso colore. Un vecchio mantello di porpora con cappuccio raccolto sulla spalla sinistra non nasconde l’elsa della sua una pesante spata germanica portata sulla schiena, mentre al fianco cinge un tradizionale gladio. Indossa calzari di buona fattura, in spesso cuoio conciato, che porta sovrapposti a gambali in cuoio più morbido che arrivavano sotto al ginocchio. Uno strano insieme di elementi latini e germanici, consunti dall’uso ma di fattura costosa. I suoi lineamenti regolari sono decisamente romani: i capelli neri e la pelle leggermente olivastra assieme alla statura media fanno di lui un italico tipico. Una benda nera gli copre l’occhio destro, e il sinistro, unico elemento poco latino, è di un grigio scuro particolarmente intenso.

Quale elemento distintivo nei confronti dei barbari, Marco non porta la barba e si taglia i capelli piuttosto corti.

 

I suoi gusti sono semplici; non brama particolari ricchezze, ma sa apprezzare il lusso di una abitazione asciutta e pulita o di un bel bagno caldo.

Apprezza il buon cibo e i suoi gusti in questo campo si avvicinano maggiormente a quelli dei barbari piuttosto che a quelli di Costantinopoli, beve indifferentemente vino e birra, ma evita di ubriacarsi non tanto perché abbia stile, ma in quanto vuole essere sempre pronto a combattere.

 

Marco non ha forti opinioni politiche o religiose, ma è motivato dal desiderio di difendere Roma al suo meglio, e in particolare di restaurare l’Occidente alla sua antica gloria. Come la maggior parte dei militari di professione del suo tempo (e di quelli successivi) è piuttosto scettico nei confronti del potere politico da cui dipende, e sospettoso nei confronti dell’aristocrazia, di qualunque origine questa possa essere: imperiale, teutonica o ecclesiastica. D’altra parte non è mosso da ambizione personale, ed è anzi perennemente alla ricerca di un condottiero degno di essere seguito: l’idea di essere lui stesso quel condottiero non lo sfiora neppure.

 

Combatte preferibilmente a cavallo, ed è particolarmente esperto quale comandante di unità di cavalleria pesante quali i clibanarii imperiali; per questa ragione si dedica con particolare passione all’addestramento della scola, la cavalleria di élite tanto nell’Impero che fra i franchi. D’altra parte è anche a suo agio a combattere a piedi e in luoghi chiusi; la sua arma preferita è la spata germanica a due mani, e generalmente evita di fare uso dello scudo, il cui impiego richiede l’utilizzo di un gladio oppure di una lancia con la mano destra.

 

Ha un compagno fisso, rappresentato dal suo cane Lyra, una femmina bastarda simile ad un attuale pastore maremmano, da cui è stato scelto ad Aquileja, e che lo seguirà fedelmente per tutta la vita, risultando a volte determinante nelle sue vicende.

Sa ispirare lealtà ai suoi soldati, quali il decurione dei clibanarii Siro Priboniano che lo segue fin da Costantinopoli, e le sue successive reclute Vanio di Treviri, Silvio di Augusta e Derfel di Isca.