Artorius, Pendragon di Britannia

Artorius, Pendragon di Britannia
Artorius, Pendragon di Britannia

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Artorius

è un personaggio dei Secoli Bui, ma la sua esistenza storica è solamente ipotetica. Quindi è importante chiarirlo fin da subito: io non sono uno storico e non sto proponendo una teoria storica. “Re Artù” è un personaggio leggendario e probabilmente elaborato secoli dopo la sua presunta azione; non esistono prove credibili della sua esistenza reale, né tantomeno dettagli sulla sua presunta azione.

Però è uno dei personaggi più rilevanti nell’epopea dei Secoli Bui in quanto tali, e fra i più importanti della tradizione leggendaria europea. La sua figura è profondamente radicata nel folklore non soltanto britannico, ma dell’intero Occidente e rappresenta il prototipo del re leggendario cavalleresco.

Ben pochi personaggi sono stati esaminati più nel dettaglio e hanno richiamato più attenzione da parte di esperti in ogni campo nell’esame delle pochissime tracce da lui lasciate nella storia, e non intendo sostituirmi a coloro che continuano ad indagare.

Queste brevi note non hanno la pretesa di aggiungersi alla vasta letteratura storica già esistente: si limitano a inquadrare il personaggio del nostro ciclo narrativo a dall’attuale consenso esistente in materia: non esistono prove dell’esistenza storica di “Re Artù”, ma non ne esistono neppure del fatto che non sia esistito. Di sicuro il corpus narrativo su di lui è quasi totalmente inventato, ma il contesto in cui potrebbe aver agito è reale, e sicuramente molto oscuro.

Da questa caratteristica comune a tutti gli altri componenti principali di questo progetto che chiamiamo Secoli Bui, abbiamo sviluppato come negli altri casi più ambigui un personaggio che vuole essere plausibile e congruo allo scenario storico in cui si colloca, ma che in nessun modo si intende proporre come una versione storica; tutt’al più offrire uno scenario possibile ancorché non dimostrabile.

 

Cominciamo dall’inizio: al netto di tutti gli innumerevoli romanzi successivi, esistono solo quattro fonti storiche (non letterarie!) realmente pertinenti e sufficientemente antiche da apparire più o meno credibili oltre che rilevanti:

  • De Excidio et Conquestu Britanniae di Gildas, monaco britanno del V-VI Secolo, l’unico a scrivere da contemporaneo o quasi. Nel suo testo, che ha scopo moralizzatore e non storico, Gildas NON menziona mai Artù. Cita però gli eventi e il contesto classici della sua vicenda, compresa la battaglia del Mons Badonicus che avrebbe non solo respinto ma completamente debellato l’invasione sassone e assicurato una generazione di pace prima di una successiva fase di decadenza civile interna che avrebbe condotto la civiltà britanna post-romana al collasso e alla successiva sottomissione ai regni anglosassoni.
  • Historia Brittonum, attribuita al religioso Nennius, che l’avrebbe compilata nella seconda metà dell’VIII Secolo; riporta quindi fatti e personaggi di quasi trecento anni prima, sui quali l’autore presumibilmente ha una conoscenza quasi esclusivamente orale e quindi molto probabilmente distorta. Nennius è il primo a nominare Artù: cita le sue dodici battaglie principali e come il suo titolo fosse di dux bellorum (condottiero) e non di re.
  • Annales Cambriae, composto da vari autori anonimi a metà del X Secolo. Menziona la battaglia di Badon e anche Artù, menzionandone la morte che sarebbe avvenuta nella battaglia di Camlann; i due eventi sono anche datati - rispettivamente al 516 e al 537 - ma dobbiamo ricordare che all’epoca la datazione era ancora confusa in quanto il sistema dell’anno domini era stato introdotto relativamente da poco. In ogni caso quando gli Annales parlano di Artù riferiscono eventi già vecchi di oltre 400 anni.
  • Historia Regum Britanniae, di Geoffrey of Monmouth, del1136. Si tratta di un’opera pseudo-storica con finalità più narrativa che di cronaca, e tratta di eventi avvenuti nello specifico oltre 600 anni prima: per intenderci come se oggi scrivessimo la storia del 1400 italiano, ma senza possedere altre fonti che non la memoria dei nonni e le leggende in stile Decameron. Geoffrey è il vero inventore del personaggio Artù, di cui descrive le avventure romanzate chiaramente attingendo da Gildas, da Nennius e da un certo numero di ballate gallesi.

 

Come si vede, le fonti sono estremamente scarne. Il motivo fondamentale per cui gli storici moderni rifiutano in larga maggioranza la storicità di Artù è fondamentalmente che Gildas, l’unico autore suo contemporaneo, non lo nomina. Essendo Gildas l’unica fonte coeva, appare quantomeno sospetto che mentre fa il nome di un certo numero di condottieri del suo tempo non menzioni proprio il condottiero di quella battaglia del Mons Badonicus che lui per primo descrive come fondamentale per il suo tempo e per la generazione successiva.

Da un punto di vista strettamente professionale ed analitico è una posizione sacrosanta... Così come lo è precisare che non esistono d’altra parte prove del fatto che un Artù non sia esistito. Il fatto che compaia in fonti successive e non coeve, ma anche decisamente poco professionali dal punto di vista moderno, è facilmente imputabile alle infiltrazioni leggendarie e folcloristiche insorte nei secoli intervenuti fra Gildas e Nennius... Un po’ come se noi oggi attribuissimo ai romanzi arturiani del XX Secolo la dignità di fonte storica sull’argomento.

Precisato quanto sopra, e tornando nel contesto del V Secolo e della nebbia che avvolge gran parte dei fatti e dei personaggi del periodo, occorre osservare alcuni elementi interessanti.

Tanto Gildas che i cronisti suoi successori, sono ecclesiastici. La stessa considerazione fatta su altri personaggi del periodo può quindi valere anche per “Re Artù”: la Chiesa dell’epoca aveva le sue priorità, che comprendevano prima di tutto l’obbligo di educare i credenti, convertire i pagani e contrastare le eresie. Pertanto qualsiasi evento o personaggio storico che non contribuissero a una narrazione “corretta” (oggi aggiungeremmo politicamente) della Storia - tramandata quasi esclusivamente ad opera di chierici - andava rivista e se necessario censurata. Non possiamo quindi escludere che per qualche ragione “Re Artù” non incontrasse il favore della Chiesa del suo tempo e pertanto andasse rimosso. Questa potrebbe dunque essere la spiegazione della mancata citazione del suo nome (o della sua successiva cancellazione) dall’Excidio.

Un'altra osservazione pertinente è che se è vero che Gildas non cita Artù quale il comandante britanno alla battaglia del Mons Badonicus, è anche vero che non ne cita alcun altro: appare quantomeno strano che celebrando una grande vittoria non se ne nomini il condottiero. Esistono numerosi riscontri sui nomi dei condottieri britanni del tempo, con riferimenti cronologici approssimativi ma sufficientemente accurati. È generalmente accettato che sia esistito un Ambrosius Aurelianus, comandante militare di una Britannia ancora sostanzialmente romana in guerra contro gli ausiliari sassoni in rivolta comandati dai fratelli Hengist e Horsa: secondo quanto sappiamo, questo condottiero sarebbe morto (probabilmente di peste) intorno al 475, e Gildas lo cita debitamente.

Sappiamo anche dallo stesso Gildas e da altri, che intorno al 540 il perfido Maelgwn diviene signore del Galles del nord, il dux Conomorus governa la Dumnonia e il sassone Echwin fonda l’Essex; sono gli anni della guerra goto-bizantina e soprattutto della grande Peste di Giustiniano, che allo stesso tempo distraggono le fonti affidabili e le riducono anche drammaticamente di numero. Appare comunque sospetto che le cronache ci abbiano tramandato i nomi dei condottieri fino al 475 e poi di nuovo a partire dal 540, lasciando un vuoto di circa mezzo secolo durante i quali però si sarebbe svolto un evento particolarmente significativo quale appunto la battaglia del Mons Badonicus. Il sospetto aumenta se esaminiamo anche la Anglo-Saxon Chronicle, l’equivalente teutonica degli Annales, e vediamo che durante lo stesso periodo i sassoni non nominarono nessun Brethwalda, cioè nessun capo supremo: il vuoto informativo di quel breve periodo appare dunque esistere da entrambe le parti in conflitto, proprio come se derivasse da un’azione censoria successiva da parte di qualcuno con l’autorità di intervenire sulla compilazione di entrambe.

A questo punto è innegabile che questi eventi sospetti lascino lo spazio per un periodo ben preciso durante il quale un condottiero (o più di uno in successione) romano-britanno probabilmente in qualche modo inviso alla Chiesa abbia sconfitto i sassoni al Mons Badonicus e imposto un periodo di relativa pace e di assimilazione reciproca; al termine di questo periodo una serie di conflitti fra i potentati locali e l’arrivo della peste avrebbero portato alla disgregazione delle ultime istituzioni romane e all’anarchia sull’isola.

Si tratta ovviamente di un’ipotesi, ma è un fatto che da questo momento i progressi dei sassoni non avverranno più con le modalità di un’“invasione barbarica”, ma con quelle di una serie di conflitti fra gruppi di potentati locali in perenne conflitto fra loro, dove il successo finale di quelli di etnia teutone in quella che oggi chiamiamo Inghilterra non è frutto di uno sforzo comune contro i britanni celti, ma di un progressivo logoramento di questi ultimi contemporaneo a quello di diversi reami teutoni: l’Essex e il Sussex sassoni scompariranno a vantaggio del Wessex esattamente come la Dumnonia celtica.

In sostanza il mezzo secolo perduto ha ridisegnato la storia della Britannia in seguito ad eventi gestiti da personaggi il cui nome è andato perduto, presumibilmente anche a causa di quella stessa opera di censura che abbiamo già preso in considerazione analizzando altri personaggi dello stesso periodo. Tra questi, potrebbe benissimo esserci stato un “Artù”, visto che la sua vicenda - opportunamente contestualizzata - appare spiegare in maniera plausibile la situazione della Britannia alla metà del successivo VI Secolo.

Quel mezzo secolo di buio totale può insomma facilmente nascondere un personaggio in qualche modo corrispondente all’Artù delle leggende, di cui la Damnatio Memoriae ha cancellato il nome ma non l’opera. Data la lunghezza del periodo probabilmente nasconde anche il suo predecessore (re Uther?) e i suoi immediati successori (Vortipor? Maelgwn?), censurati presumibilmente come lui, per causa sua o per gli stessi suoi motivi. È un fatto abbastanza consolidato che la Britannia del V Secolo era solo parzialmente cristianizzata e i cristiani che la popolavano erano divisi dalle eresie, e anche che quella del VI Secolo è in larga parte ricaduta nel paganesimo nella sua parte caduta sotto controllo teutone, mentre i territori rimasti britanni vivono l’esperienza del cristianesimo monastico celtico che la Chiesa ufficiale vedrà per secoli come sostanzialmente pelagiano e quindi fondamentalmente eretico. Solo nel VII Secolo papa Gregorio Magno invierà S. Augustino per avviare la re-cristianizzazione dell’isola; per secoli la paura del ritorno del Male (cioè degli dei pagani) perseguiterà i cristiani attraverso il ricordo della “caduta” della Britannia. In realtà grazie ai condottieri censurati del V Secolo la Britannia non cadde mai in mano ai barbari, ma il suo cristianesimo cedette effettivamente - seppure per breve tempo e solo nell’est dell’Inghilterra - al ritorno del paganesimo, ed è questa la “caduta” che secondo la Chiesa del tempo era degna di essere ricordata, a causa del carattere pedagogico di tale evento. La storia delle discordie interne fra cristiani e del probabile successo di un condottiero eretico invece probabilmente andava cancellata... 

 

Naturalmente quello esaminato qui è solo uno scenario possibile, ma è largamente plausibile e soprattutto congruo al contesto del periodo.

Di sicuro è sostenuto da una serie di indizi e di considerazioni verosimili, ma non da prove storiche: pertanto allo stato attuale delle nostre conoscenze qualsiasi scritto su “Re Artù” può essere unicamente fiction... Ed è così da oltre mille anni.

 

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Poiché lo scopo di Secoli Bui è passare in rassegna quel poco di conosciuto di un’era tanto importante quanto oscura cercando di illuminarla con un tocco di fantasia quanto più realistica possibile, quando andiamo ad esaminare il mezzo secolo di buio della Britannia alla luce della tradizione letteraria non c’è motivo di non utilizzare  il materiale fornito da oltre mille anni di produzione, cercando però di contestualizzare storie e personaggi in base a quanto sappiamo essere realmente accaduto; quindi dando per scontato che qualcuno deve pur aver guidato i romano-britanni alla battaglia del Mons Badonicus, perché non chiamarlo “Artù” quando ne parliamo?

 

Nello sviluppo della trama britanna di Secoli Bui mi sono attenuto principalmente al lavoro di John Morris e al suo The Age of Arthur (1973), pur nella consapevolezza di quanto il suo lavoro risulti controverso ed il suo metodo in generale non sia approvato dalla maggior parte degli storici attuali; rimane il fatto che nessun altro abbia cercato di analizzare l’intero contesto storico della Britannia del V e VI Secolo con un’opera alternativa altrettanto comprensiva ed armonica, e la sua opera rimane congrua ancorché non sufficientemente supportata da dati oggettivi... Esattamente come i nostri Secoli Bui.

Utilizzando in modo critico l’opera di Morris come guida generale, ho avuto modo di osservare che il suo lavoro, esattamente come quello della gran parte dei suoi colleghi anglofoni, ha però una caratteristica specifica che salta all’occhio di un europeo continentale: l’analisi di dettaglio è limitata alla Britannia e tutt’al più si spinge alla Bretagna e alle coste della Normandia senza contestualizzare le vicende “arturiane” con quanto sappiamo avvenire sul continente in quegli stessi anni. Perfino gli accenni ad un supposto conflitto fra “Artù” e un imperatore romano chiamato “Lucius Tiberius” sono lasciati al loro valore letterale senza alcuna analisi (nessun “Lucius Tiberius” è in effetti mai esistito, e le vicende narrate richiamano in effetti eventi del IV Secolo e non del V) che includa le vicende assai meglio note delle province continentali dell’Impero.

Il punto è che comunque si siano svolte le cose in Britannia nel periodo oscurato in cui si dipana la saga arturiana, queste risultano contemporanee al regno di Clodoveo in Gallia. Ed è interessante osservare come anche le fonti relative a questo sovrano tacciano completamente sugli eventi che accadevano al di là del Mare Britannicum negli stessi anni in cui il re dei Franchi conquistava la Gallia. Gregorio di Tours - principale fonte sulla vita del re ed ecclesiastico a sua volta come Gildas - ci parla di Sassoni, Alamanni e Turingi di Germania, dei Visigoti di Spagna e degli Ostrogoti d’Italia, ma non nomina neppure la Britannia, che pure è ben visibile dalle coste settentrionali del regno di Clodoveo.

Questo fatto, oltre a confermare l’ipotesi di una ben coordinata Damnatio Memoriae ecclesiastica ai danni dei condottieri britanni del periodo, porta a qualche considerazione sul notevole parallelismo fra i personaggi della saga di “Artù” e quelli che ruotano intorno a Clodoveo. Entrambi i personaggi accedono quindicenni al trono di un padre quantomeno controverso e si trovano a combattere immediatamente ricompattando in pochissimi anni un regno disunito e pericolante fino a trasformarlo quasi miracolosamente in uno stato potente e temuto da tutti i vicini. Entrambi si circondano di compagni cavallereschi (i Leudes franchi e i cavalieri della Tavola Rotonda) con cui portano a termine le loro conquiste che però non sopravvivranno alla loro morte. Entrambi sono supportati da una guida spirituale, archetipo dell’anziano consigliere rappresentante di una saggezza antica (San Remigio e Merlino). Entrambi sposano una regina dal carattere complesso che influenzerà in maniera profonda il loro governo ponendosi spesso in conflitto con loro e minando la tenuta a lungo termine della loro opera (Clotilde e Ginevra). Entrambi muoiono improvvisamente ancora giovani prima di aver completato la loro opera e senza lasciare una successione sicura e definita, anche a causa delle loro vicende matrimoniali.

Questo parallelismo appare sospetto e può condurre a ritenere che quanto ci è pervenuto su questi due personaggi così importanti ed oscuri al tempo stesso potrebbe essere giunto fino a noi contaminato da influenze reciproche. In particolare molte delle aggiunte successive alla tradizione arturiana (quali le vicende legate a Lancillotto e Ginevra che non compaiono nei testi originari) potrebbero in realtà essere state ispirate da vicende accadute sul continente.

 

Non sapendo praticamente nulla del condottiero britanno che storicamente guidò la sua gente alla vittoria al Mons Badonicus e pose fine all’invasione sassone gettando le basi per l’instaurazione dei vari regni che ebbero poi a convivere in Britannia per cinque secoli, nel corso della narrazione abbiamo cercato di seguire il canovaccio originale delle leggende arturiane, che potrebbero in effetti essere il riflesso romanzato di fatti reali tramandati oralmente per secoli, adattandolo il più possibile ai pochi fatti noti e contestualizzandolo alla situazione storica conosciuta, impiegando i personaggi storici documentati nei ruoli proposti dalla leggenda per riempire i numerosi vuoti della trama storica a noi pervenuta.

Ecco così che in Secoli Bui le discordie interne fra Britanni risalgono ai conflitti sociali della tarda diocesi romana, con gli attriti fra le grandi famiglie aristocratiche che si intrecciano con quelli tribali fra clan celtici e con quelli dottrinali fra le varie correnti cristiane. L’isola nel suo complesso è tutt’altro che cristianizzata, e le credenze connesse con l’antica religione pervadono ancora in contado, andando a sommarsi alle nuove superstizioni pagane portate sull’isola dai barbari. La geografia stessa della Britannia è diversa da quella attuale, con ampie zone di campagna sommerse da acquitrini e perfino dal mare stesso, e la locazione di posti apparentemente fantastici come Avalon e Camelot diventa così plausibile, sia pure in forma del tutto ipotetica.

E la leggenda di Artù si dipana ancora una volta, scorrendo fluida lungo un tracciato disegnato dal contesto storico a noi conosciuto...

Un’ultima considerazione. Cosa lega fra loro il massacro della dirigenza di Britannia tratteggiato da John Morris sull’isola di Thanet, la leggenda teutone della Saga dei Nibelunghi e l’episodio dell’assassinio di Odoacre a Ravenna per mano di Teodorico di Verona?

Il primo caso è un’ipotesi storica plausibile ma non dimostrata, il secondo una leggenda romantica e il terzo un evento storico attestato ma avvenuto in circostanze poco chiare; ciascuno dei tre potrebbe essere avvenuto o meno, nei termini a noi giunti oppure in maniera sensibilmente differente. Di sicuro tutti e tre hanno una qualche base storica ma sono avvolti nella leggenda e probabilmente sono giunti a noi completamente stravolti.

Ma di sicuro appaiono incredibilmente simili fra loro.

Una guerra che si conclude, un’offerta di pacificazione da parte di un vincitore infido, un tradimento ispirato da una regina vendicativa, e un banchetto dove si consuma il bagno di sangue che pone fine alla vita di innumerevoli personaggi importanti.

Un evento storico che ne ha ispirati altri, oppure un singolo episodio ricordato da leggende appartenenti a tradizioni differenti? Oppure ancora una leggenda che ha ispirato eventi reali?

Probabilmente non lo sapremo mai; ma di sicuro possiamo riconoscere in tradizioni nazionali diverse storie analoghe riportate attraverso i secoli e risalenti allo stesso ristretto periodo in cui sono nate leggende destinate a forgiare culture oggi differenti, ma tutte risalenti ad una matrice comune. Un’unica cultura che si è poi frazionata in tradizioni nazionali differenti, ma che origina in uno stesso luogo comune: l’Europa.